Atti Unici – 2016
Quattro novelle tradotte in prosa di Luigi Pirandello
LUMIE DI SICILIA
Commedia di un atto tratta dall’omonima novella. È la prima opera pirandelliana, assieme a La morsa, a essere messa in scena: era il dicembre del 1910. Nel 1915 Pirandello ne ricava un’edizione in lingua siciliana appositamente scritta per l’attore Angelo Musco, e succissivamente, nel 1924 c’è una rielaborazione in romanesco dal titolo Agro di limone, portata in scena da Ettore Petrolini, mentre il 23 giugno del 1957 la commedia è trasmessa dalla RAI con l’interpretazione di Paola Borboni. Le lumìe sono degli agrumi, dei frutti simili ai limoni, dalla spessa scorza ma dal poco succo, e Pirandello le utilizza come metafora, per raccontare un passato che torna al presente. Due giovani, un ragazzo e una ragazza, lui musicista nella banda del paese, lei cantante in erba, crescono e vivono in una spensierata adolescenza, s’innamorano, non senza difficoltà, poi le loro strade si dividono proprio a causa dell’Arte. La giovane donna lascia il paesello per perfezionare la propria tecnica canora, spinta e appoggiata dall’amico del cuore che riconosce in lei qualità artistiche: egli fa di tutto perché lei possa affermarsi, ed effettivamente il destino le riserva il tanto anelato successo, mentre lui rimane fermo al paese. Ora la ragazza è una diva famosa, fa tournée in tutto il mondo: passano gli anni, i due si perdono di vista, anche se il giovane segue la sua carriera dagli articoli che appaiono sui giornali; resta un rapporto epistolare tra il ragazzo e la madre della diva, come resta la speranza di poterla riconquistare: lui supera anche una severa malattia, poi, un giorno, decide di mollare tutto per ritrovarla, convinto che quel passato possa tornare, e le porta in dono delle lumìe affinché lei possa riassaporare quel profumo del loro paesello: quel profumo del passato.
DONNA MIMMA
Classica novella pirandelliana, ambientata nel meridione d’Italia, composta intorno al 1925 e contenuta nella raccolta Novelle per un anno. In questa opera l’autore s’ispira a classici fatti quotidiani: Donna Mimma Jevola, è una levatrice, è molto conosciuta nel suo piccolo paese di provincia; tutti le vogliono bene: ha un carattere vivace, è sicura di sé, ma è molto severa: ha aiutato tutte le altre donne a partorire. In paese è chiamata “la comare”. Dopo trentacinque anni di pratica, fa la comparsa un’ostetrica neodiplomata, molto più giovane, molto più bella, accattivante e proveniente dal Continente: di colpo Donna Mimma è spiazzata, ignorata, quasi dimenticata dal paese intero. Cresce una profonda invidia verso la nuova arrivata, ma lei non s’arrende, e matura un obiettivo: lasciare il paese per diplomarsi, e poi tornare per dimostrare a tutti le sue capacità.
IL DOVERE DEL MEDICO
Commedia in un atto, del 1911 tratta dalla novella Il gancio del 1902. Tema centrale è il ruolo del medico di fronte al suicidio. Pirandello ci porta a riflettere sulla legalità della prevenzione di questo atto, in un contesto di società che lo condanna. I fatti si svolgono in una città indefinita del Nord Italia, all’interno di un appartamento borghese, il cui capo famiglia è moribondo e allo stesso tempo piantonato perché ha tentato di togliersi la vita, dopo aver ucciso il marito della donna con cui aveva una relazione adulterina. La vittima era un Sostituto Procuratore del Regno d’Italia. Si sta attendendo il suo trasferimento in carcere. In casa c’è la moglie: c’è stato l’allontanamento dei due figli della coppia, e sono in custodia dalla nonna, la suocera di lui, ma quest’ultima arriva per dare sostegno alla figlia, appresa la tragica notizia. L’uomo, sapendo di aver commesso un atto efferato che lo porterà, inevitabilmente, alla condanna, tenta di ammazzarsi ma viene salvato da un medico. Questi sottrae, sì, l’uomo alla morte, che dovrà confessare il tradimento alla moglie, ma lo condannerà al carcere a vita.
LA MORSA
Dramma o, come lo definisce lo stesso autore, epilogo in un atto, scritto nel 1892. Il tema dell’opera è ripreso in una novella intitolata La paura del 1897. Assieme a Lumìe di Sicilia è stato il primo testo pirandelliano a essere messo in scena. La tesi è sulla confessione: la confessione di una donna, sincera e appassionata che, messa alle strette dal proprio consorte, si confronta con l’epilogo, appunto, della sua relazione adulterina, avuta con un collaboratore del marito, un avvocato: il quale marito, accortosi del tradimento, la soffoca in una morsa di accuse: l’uomo agisce e fa leva sui fulcri vitali di una donna: l’essere moglie e al tempo stesso, madre, ma traditrice: e nel ruolo di madre, c’è ambivalenza per la donna: perché è madre dei figli, generati con quell’uomo, ma diventa anche madre di quell’uomo, perché lui stesso è stato partorito da una donna. I figli della coppia, volutamente sono solo citati: ma hanno una grande valenza per la donna: sono allontanati dal campo di battaglia: sono a casa della nonna, la suocera di lei, con la quale, peraltro, non corrono buoni rapporti, quindi, il marito, offeso nel suo onore o nel suo orgoglio, gioca “pesante” perché “pesante” è l’onta che l’ha investito. I figli, lui, li porta al riparo nella sua tana: nella casa di sua mamma. Come farebbe qualsiasi animale in natura. Questo togliersi la maschera, porterà la donna a prendere una decisione con conseguente risoluzione dei fatti. Ma l’epilogo, è veramente una risoluzione? La decisione presa dalla donna si può definire epilogo?